La riqualificazione energetica della centrale termica condominiale “batte” il distacco e la relativa installazione dell’impianto autonomo. «Distaccarsi si rivela sempre una scelta costosa per l’utente, anche in relazione all’efficienza energetica: perché quella di un centralizzato “a modo” è comunque superiore», spiega Renato Cremonesi della Cremonesi Consulenze.

I motivi per i quali si sceglie di perseguire la via autonoma possono essere diversi. E la legittimità della scelta, con la riforma del condominio che entrerà in vigore dal 18 giugno, arriva nel codice civile, all’articolo 1118: «Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini».
Ci si può distaccare perché si ritengono elevati i costi di un centralizzato poco efficiente, o tarato su esigenze che mal si adattano alle proprie, con consumi elevati: si pensi agli impianti che mantengono alte temperature per molte ore al giorno. Oppure perché ci sono condomini che non pagano le proprie quote, o lo fanno in ritardo, causando un aumento delle spese a tutti gli altri.
«In effetti – dice Cremonesi – quest’ultimo è l’unico motivo veramente plausibile: la grande morosità. Da un punto di vista economico (e tecnico), infatti, non c’è convenienza a distaccarsi. Il problema della ripartizione della spesa, ad esempio, è risolvibile con le tecnologie di contabilizzazione del calore, che consentono di pagare in base ai consumi e non ai millesimi».
Sul lato economico pesano i costi dell’intervento: caldaietta autonoma, distacco delle tubazioni interne all’appartamento da quelle dell’impianto centralizzato, realizzazione di una nuova rete idraulica, allaccio e adeguamento della linea gas, collegamento delle tubazioni al nuovo generatore, installazione della canna fumaria. Mentre, sul lato tecnico, l’interrogativo riguarda soprattutto la fattibilità dell’intervento. L’installazione di una canna fumaria esterna, ad esempio, spesso non può esser realizzata perché contraria alle norme comunali e lede il decoro dell’edificio.
Se guardiamo all’esempio riportato nella tabella, nel caso di rinnovo dell’impianto termico, possiamo renderci conto del confronto tra il distacco e la riqualificazione del centralizzato. Si tratta di un condominio di 60 alloggi, con un rendimento medio stagionale dell’impianto del 70%, e una spesa annua per appartamento pari a 1.350 euro (combustibile e manutenzione).
La riqualificazione del centralizzato richiede a ogni condomino un investimento di 2.358, 33 euro. Che comprende progetto e pratiche, dismissione del vecchio generatore, installazione del nuovo, intubamento della canna fumaria, installazione di valvole termostatiche e ripartitori negli appartamenti. Il nuovo impianto (con rendimento al 98%) produce dei costi di gestione annui di 1.088,10 euro: con un risparmio di 261,9 euro rispetto al vecchio.
Il distacco e la realizzazione dell’impianto autonomo comporta invece un investimento pari a 5.350 euro. Con costi di gestione del nuovo impianto (rendimento al 93%) pari a 1.379,03 euro e quindi superiori di 29,o3 euro rispetto a quelli richiesti dal vecchio centralizzato.
Al costo dell’investimento bisogna inoltre aggiungere in questo caso la partecipazione alle spese condominiali per la riqualificazione dell’impianto centralizzato (escludendo le valvole termostatiche e la contabilizzazione): 1.358,33 euro. Che fanno salire il conto complessivo dell’intervento “autonomo” a 6.708,33 euro.
Come ribadisce il nuovo articolo 1118 del codice, infatti, «il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma». Incluse quelle per la sostituzione della caldaia. E incluse – aggiungiamo – quelle di consumo e di esercizio, pagate a copertura degli oneri che altrimenti ricadrebbero sugli altri condomini in virtù del distacco. Oneri che comprendono, specie con le vecchie caldaie, le perdite di rendimento. «Il distacco – commenta Cremonesi – determina sempre uno squilibrio, perché l’impianto centralizzato è dimensionato in modo da garantire ripartizione e comfort adeguati nei vari alloggi». La misura di questo squilibrio va affidata alla certificazione di un tecnico, per consentire il via libera al distacco (non deve essere “notevole”) e arrivare a stabilire l’eventuale quota forfetaria a compensazione del calore di cui si continuerebbe a godere: quello degli appartamenti confinanti riscaldati e dei tubi condominiali che attraversano la casa. Il cosiddetto “furto” di calore, afferma Cremonesi, «consente ad esempio a un appartamento centrale di staccarsi dal centralizzato e avere comunque una temperatura di 16-17 gradi, dovuta all’apporto degli altri condomini». La quota da pagare per il mantenimento dell’impianto comune oscilla dal 20 al 30%, a seconda del grado di efficienza del centralizzato stesso.
Il confronto riportato in tabella dimostra la convenienza dell’intervento condominiale rispetto a quello “singolo”. L’intervento comune permetterebbe in più di rispettare le norme sul contenimento dei consumi energetici. Come quelle del Dpr 59/09, che precisa che per tutti gli edifici esistenti con più di quattro unità abitative e con potenza superiore a 100 kW è preferibile mantenere l’impianto centralizzato. L’eventuale ricorso all’autonomo deve esser dettato da cause tecniche di forza maggiore, e asseverato da un’apposita relazione tecnica.

Il Sole 24 ore